13 febbraio 2010

Prodi attacca il governo: "La crisi dura, politica industriale limitata"

ROMA - "Non ho visto politiche governative di coordinamento per l'innovazione. Non posso nemmeno criticare, perche' non si puo' criticare il nulla. Il nostro programma di Industria 2015 aveva un orizzonte giusto, decennale, perche' questi processi hanno bisogno di un obiettivo a lungo termine". Romano Prodi attacca la politica industriale del governo nella sua lectio magistralis sulla competitivita' dei sistemi industriali in tempo di crisi tenuta a Manifutura, festival dell'economia reale 2010 a Pisa.


Dobbiamo - continua Prodi - investire nell'aggregazione fra grandi e piccole imprese nei centri di ricerca, rendere conveniente la trasmigrazione fra universita', centri di ricerca, dobbiamo sviluppare tecnologie innovative". Secondo l'ex premier "dobbiamo incentivare la fusione e la collaborazione fra imprese. Ma anche porre grande attenzione quando le imprese vengono acquistate dai fondi finanziari. La loro sorte e' quasi sempre segnata: gli obiettivi dei fondi sono a breve, quelli delle imprese a lungo. Dobbiamo- conclude- creare imprese, non necessariamente grandi, ma in settori molto specializzati".
Il problema per Prodi è che "dalla crisi non siamo affatto usciti, anzi ci vorranno ancora molti anni prima di superarla del tutto. Non sono ottimista perche' vedo fatica nelle imprese: l'utilizzazione dei macchinari e' piombata fra il 60 e il 70% della capacita'. È un problema serio: ci vorranno 20 punti di ripresa per ritornare allo sfruttamento pieno degli impianti". Nel frattempo, insiste Prodi, "si indebolisce la struttura finanziaria delle imprese. Rischiamo che nei prossimi mesi diventi estremamente serio il problema degli insoluti".
Per quanto riguarda il Mezzogiorno "non esistono le condizioni per lo sviluppo di un'imprenditorialita' diffusa a causa delle condizioni di agibilita' a causa della presenza massiccia di attivita' criminali".
Poi Prodi allarga la sua critica all'Europa: "Avere economie che si orientano in modo diverso rende piu' complicata la politica dell'Unione europea. Ora l'Italia prende solo le briciole: e' il risultato della nostra limitata presenza a Bruxelles. La mancanza di una politica industriale italiana e la ridotta dimensione delle imprese consentono alle grandi aziende europee di fare lobby e orientare le politiche e i finanziamenti Ue quasi naturalmente verso i loro interessi. Dobbiamo riprendere la politica industriale- spiega- non e' una parola sporca. La mancanza di grandi imprese e' un problema serio. Eppure, nonostante questo, nella crisi abbiamo tenuto grazie alla meccanica strumentale, oltre al made in Italy. L'industria e' l'unico settore che regge alla concorrenza internazionale". Il problema, insiste l'ex premier, "non e' il costo della manodopera ma la mancanza di politiche settoriali di sostegno alla domanda ma soprattutto alla produzione e alla ricerca. Dobbiamo costruire una politica industriale incentrata sulle nostre caratteristiche, sulle filiere nei settori molto specializzati dove siamo forti".